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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

sabato 24 maggio 2008

Uno studio sui proverbi cegliesi

Presagi e proverbi meteorologici nel sapere contadino di Ceglie Messapica


 


Cosimo Francesco Palmisano


Ri­flessioni-Umanesimo della Pietra, Martina Franca, Luglio 1998


 


La storia del bello e del cattivo tempo, nata nel solco del rinnovamento degli studi storici postulato dalla scuola francese des Annales, ha il suo più avvertito assertore in Emmanuel Le Roy Ladurie, il quale, analizzando il materiale più disparato (anelli di crescita degli alberi, date delle vendemmie, registri parrocchiali), è riu­scito a costruire una storia sommativa del clima d'Europa dall'anno Mille. 1


Il suo studio mira a colmare un vuoto nella grande storia economica e sociale: carestie in conseguenza di cattivi raccolti, spostamenti in massa su grandi distanze di popolazioni, perio­di di stagnazione e di espansione economica trovano, infatti, la loro giustificazione anche in un'analisi del micro e del macroclima.


Con questo contributo si tralascerà l'impatto del bello e del cattivo tempo su aspetti di micro­storia economica e agraria e si muoverà, invece, dall'analisi dei presagi, dei proverbi, delle prati­che devozionali, connesse alla meteorologia, con riferimento alla campagna di Ceglie Messapica.


Questo cumulo di sapere empirico era parte di una mentalità magica, che in un contesto eco­nomico chiuso e prevalentemente di autocon­sumo aveva codificato, attraverso osservazioni sperimentali, un proprio patrimonio di cono­scenze orali. Tali conoscenze servivano da gui­da negli atti quotidiani del lavoro nei campi, fortemente condizionato da favorevoli o da av­verse condizioni meteorologiche, nonché dal ci­clo delle stagioni.


L'immagine circolare delle stagioni, implici­ta anche nell'etimologia di anno (dal latino an­nus, anello del tempo), 2 si sostanzia con il contri­buto del lessico vernacolare, che conserva il re­taggio di un mondo contadino arcaico, il quale ignorava le stagioni intermedie e configurava l'intero ciclo dell'anno come un eterno succe­dersi di cattiva e buona stagione: a v∂rnat∂ e a staggion∂.


Lo stesso Giano, il dio bifronte dei Romani, erede di divinità mediterranee consimili, custo­de degli ingressi e dello scorrere del tempo, in origine aveva una relazione con questa arcaica bipartizione contadina del ciclo delle stagioni, che il lessico vernacolare di Ceglie ancora con­serva. 3


La scansione più dettagliata in quattro sta­gioni e, probabilmente, una sovrapposizione postuma. I mesi, infatti, appartengono alla buo­na o alla cattiva stagione, pur non essendoci in tutto ciò una rigida e pedante distinzione. L'ap­parente contraddittorietà e la difficoltà di collo­cazione di alcuni mesi lasciano intravvedere dei margini, che li rendono, specie quelli delle sta­gioni intermedie, fluttuanti e oscillanti fra l'uno e l'altro polo stagionale.


La riprova di tutto ciò è nel fatto che nei pro­verbi si coglie quasi un'idea circolare del caldo e del freddo e, conseguenzialmente, del bello e del cattivo tempo. 4

Continua...
note
 


(1) E. LE ROY LADURIE, Tempo di festa, Tempo di carestia, Torino, 1982; Idem, La storia della pioggia e del bel tem­po, in AA.VV., Fare storia, Torino, 1981, pp. 209-234.


(2) A. CATTABIANI, Calendario, Milano, 1994, p.13.


(3) M. MESLIN, L'uomo romano, Milano, 1981, pp. 45-46, 52-53,62-63; R. GRAVES, I miti greci, Milano, 1983, par. 34, nt. 3; par. 37, nt. 2.


(4) C.F. PALMISANO, Gestualità e formularità scaramanti­che nella cultura contadina di Ceglie Messapica, in Ri­flessioni-Umanesimo della Pietra (in seguito R-UdP) Martina Franca, Luglio 1997, p. 220.